Sambenedettese, il pres. Massi: «C’è qualcuno che mi contesta, anche se io non so cosa ho fatto a certa gente»

Vittorio Massi, presidente della Sambenedettese, ha parlato ieri dopo il ko interno contro il Campobasso: «Stavamo facendo bene, poi purtroppo al primo tiro che subiamo arriva sempre il gol. Il Campobasso è stato più cinico, a noi la palla invece sembra proprio non voler entrare; complimenti a loro. Oggi (ieri, ndr) ha vinto lo spettacolo, ha vinto lo sport. Mi dispiace per tutti i tifosi che sono venuti allo stadio perché magari speravano in una rinascita, in una ripartenza; a sprazzi abbiamo fatto vedere qualcosa di buono, però, poi trovarsi sempre a recuperare non è facile. A fine partita sono voluto andare a chiedere scusa ai tifosi: per come si era messo il campionato al girone d’andata, tutti speravamo che si potesse arrivare ad altri traguardi e a me dispiace per quei ragazzi (riferendosi alla Curva Nord, ndr), che a fine partita cantavano ancora “noi siamo San Benedetto”.

Speranza di ripescaggio? Io non mollo mai, spero che non mollino neanche i nostri calciatori. È stato molto bello anche vedere tutti i ragazzi del settore giovanile fare festa prima del fischio d’inizio. C’è qualcuno che mi contesta, anche se io non so cosa ho fatto a certa gente. La città ha risposto, presenze come quelle di oggi ne sono la prova: la Samb sta tornando ad essere un patrimonio ed un volano per San Benedetto e di questo ne siamo orgogliosi. Spero che il Comune apprezzi queste 8.000 persone presenti oggi e prenda in considerazione che noi ci siamo.

Dove siamo mancati in questa stagione per poter competere col Campobasso? Nel non essere abbastanza cinici, come è avvenuto anche oggi. Loro hanno dimostrato di meritare la promozione. Per noi ancora non è finita: andremo avanti finché avremo qualche lume di speranza. Le scelte di formazione? Oggi era la squadra che è stata protagonista anche ad inizio campionato: siamo arrivati spesso sul fondo, poi, però sembra che ci vengano meno le gambe quando si tratta di concludere».