«Rimini? Un duro colpo, ma che orgoglio»: Mandola si racconta
In un periodo turbolento per la Rimini Calcio, segnato da importanti cambiamenti societari e difficoltà strutturali, il settore giovanile ha rappresentato un punto di forza ed un esempio di orgoglio, dedizione e continuità. Tra gli artefici di questo percorso negli ultimi due anni, Carlo Mandola (ex anche di Alessandria, Fano, Lecco e Brindisi in serie C e Vogherese in serie D), che abbiamo intervistato per dare rilevanza al lavoro svolto e i risultati sorprendenti ottenuti in questo anno e mezzo.
Il Rimini Calcistica ha attraversato un momento drammatico con la liquidazione volontaria e l’esclusione dal campionato. Come avete vissuto questa situazione all’interno della società e del settore giovanile?
La decisione, fulminea e spiazzante, di procedere con la liquidazione volontaria è stata un duro colpo per tutti, perché ha interrotto un percorso che, nonostante le grandi difficoltà iniziali e la partenza in ritardo, stava dando risultati davvero incoraggianti. I ragazzi, dopo tanta agonia nei mesi estivi, erano ripartiti felici con la loro maglia ed i gruppi squadra stavano trovando una forte omogeneità e tanta fiducia nel lavoro quotidiano, l’ambiente era positivo ed in crescita. È stato un grande dispiacere non poter completare una stagione che prometteva molto, sia dal punto di vista tecnico che sociale / umano».
Con l’Under 17 e la Primavera è stato portato avanti un lavoro importante di crescita individuale e collettiva. Ben venti ragazzi della rosa dello scorso anno della under 17 (annata 2008) sono oggi in prime squadre tra Serie C, D ed Eccellenza, un risultato piuttosto raro nel panorama calcistico italiano. Come valuti questo percorso?
«In generale in questo anno e mezzo si è lavorato davvero bene come settore giovanile, nella scorsa stagione il settore giovanile era estremamente competitivo e ben organizzato e tutti hanno lavorato in maniera egregia, quest’anno eravamo partiti in ritardo ed un po “acciaccati” per le perdite registrate nei mesi di “vuoto” societario, ma ci eravamo rimessi in sesto e tutti stavano lavorando benissimo. Ne è prova il fatto che molti ragazzi hanno trovato celermente nuove sistemazioni nei professionisti o addirittura in categorie superiori. Dal punto di vista personale è stata un’esperienza di lavoro davvero gratificante. Mi affacciavo per la prima volta ad un settore giovanile professionistico venendo da diverse esperienze recenti con i “grandi” e devo dire che sono rimasto molto soddisfatto di quanto è stato fatto. Abbiamo lavorato con impegno, concentrazione e tanta passione, cercando di far crescere i ragazzi non solo sul piano tecnico ma anche su quello umano. Il merito è soprattutto loro: hanno creduto sempre in quello che si proponeva e che si cercava di trasferire, si sono messi in gioco, e giorno dopo giorno hanno dimostrato grande disponibilità e voglia di migliorare. Vederli oggi, con largo anticipo sulla regola under, in prime squadre importanti, cercati, voluti e valorizzati è una soddisfazione enorme, perché rappresenta la conferma che la “fame” ed il lavoro costante, fatto con serietà, possono portare lontano anche se non se non militi in un settore giovanile di A o B».
Entrando più nel dettaglio, che tipo di percorso hanno seguito i ragazzi dell’annata 2008 che l’anno scorso facevano parte del tuo gruppo? Com’è stato il loro processo di crescita fino a farli arrivare oggi a far parte di così tante prime squadre?
«Il percorso è stato costruito passo dopo passo, partendo da basi semplici ma solide. All’inizio non è stato facile: c’erano differenze nei livelli di maturità e nei ritmi e nell'intensità di lavoro. Col tempo i ragazzi hanno trovato equilibrio, coesione e spirito di gruppo. Abbiamo lavorato tanto sulla consapevolezza, sul superamento dei limiti, sulla disciplina quotidiana e sulla capacità di conoscere ed adattarsi alle diverse situazioni del gioco. L’obiettivo era prepararli ad un calcio più competitivo, formare anche psicologicamente ed emotivamente oltre che fisicamente. Vederli oggi confrontarsi con i ritmi della prima squadra e fare bene è la dimostrazione che hanno saputo fare un salto importante, frutto del loro impegno e della fiducia che ci siamo costruiti insieme. Qualcuno ha spiccato il volo già alla fine della scorsa stagione, qualcun'altro, anche complice la rosa ristretta in prima squadra, si è guadagnato spazio quest’anno, ed ora, complice lo svincolo di ufficio, la stragrande maggioranza ha trovato collocazioni in prime squadre piuttosto che in altri settori giovanili importanti. Ben 20 su 25 del gruppo 2008 allenato lo scorso anno oggi sono in prime squadre e una decina hanno già esordito in C, D ed Eccellenza».
Nel calcio italiano si parla spesso della difficoltà nel valorizzare i giovani, ma poi esempi come questo, capaci di portare 20 ragazzi da una under 17 in varie prime squadre, saltando un anno o due di primavera, passano quasi inosservati. Non ti sembra che il sistema manchi spesso di attenzione verso questi esempi virtuosi, soprattutto perché si tratta di società di Serie C che dovrebbero essere il polmone del calcio Italiano?
«Comprendo bene questa osservazione così come le meccaniche del calcio ed un po’ non nego una punta di rammarico, penso però che in parte sia anche una questione di visibilità. Le realtà giovanili di Serie C, per loro natura, hanno meno spazio mediatico, e a volte è difficile che certi percorsi vengano conosciuti al di fuori del contesto locale. Tuttavia, devo dire che un po’ di attenzione c’è stata, ed è stato il bello di questo lavoro: diversi ragazzi sono stati notati e oggi si trovano in giro per l’Italia, in club di C, D ed Eccellenza che hanno creduto nel loro potenziale. Questo dimostra che il lavoro serio, anche se parte nell’ombra, prima o poi arriva dove deve arrivare. In generale comunque si, credo che, non solo a parole, debba essere data maggiore importanza al settore giovanile in Italia, perché non è assolutamente vero che non abbiamo più talento».
Guardando al futuro, nella tua carriera hai sempre dimostrato di saper valorizzare i gruppi ed i ragazzi che hai avuto a disposizione, sia in Serie C che in Serie D e nei settori giovanili. Ti piacerebbe poter ripartire da un progetto simile, dove mettere ancora al centro la crescita dei giovani e del collettivo?
«Qui a Rimini avevo sposato un progetto a lungo termine partito la scorsa stagione, progetto sviluppato benissimo con chi mi aveva dato questa opportunità ma che poi si è dovuto interrompere per via della situazione societaria creatasi a fine Giugno. Ho poi deciso di rimanere in un contesto diverso più per un senso di responsabilità che per la “carriera”. In passato ho avuto modo di lavorare con gruppi variegati tra adulti e giovani ma in generale mi piace molto lavorare con i ragazzi, soprattutto all’interno di contesti di prima squadra dove i “grandi” possono darti un valore aggiunto importante. Credo che sia uno dei modi più concreti e redditizi per far crescere sia i ragazzi che le società. Quando un club dà spazio ai giovani e li mette nelle condizioni di confrontarsi con il calcio “vero”, il beneficio è reciproco: i ragazzi maturano, ma anche l’ambiente si arricchisce in entusiasmo e prospettiva. Personalmente, ho sempre cercato di costruire percorsi che permettessero questo tipo di accrescimento, con serietà e continuità, senza tralasciare l’obiettivo posto dalla società. Credo che il lavoro fatto in questa direzione sia importante, perché getta basi solide per il futuro, non solo sportivo ma anche umano. Esempi come Lamesta, Azzi, Masini, Cauz e decine di altri con i quali ho avuto il piacere di lavorare sono la dimostrazione che ciò è vero, reale e tangibile».
Nel tuo percorso si percepisce una costante: la capacità di creare gruppi uniti, motivati al sacrificio e sempre pronti a lavorare con impegno. Quanto conta per te questo aspetto nella gestione delle squadre?
«Per me è fondamentale, ho “fame” e mi piace trasmetterla. Le conoscenze tecnico tattiche hanno poca valenza se non inserite in contesti competitivi e produttivi. Credo che la vera forza di una squadra nasca dall'affiatamento, dalla fiducia reciproca e dall’impegno quotidiano. Ho sempre cercato di costruire gruppi solidi, dove ogni ragazzo si senta parte integrante di un percorso comune e lavori con entusiasmo e responsabilità. Quando l’ambiente è sano e c’è equilibrio, i benefici si vedono su tanti livelli: i ragazzi crescono, la società ne trae vantaggio in termini di risultati ma anche di patrimonio tecnico ed economico, perché formare giovani calciatori pronti per categorie superiori significa creare valore reale. Questo tipo di lavoro, se portato avanti con costanza e serietà, diventa una risorsa preziosa per chiunque punti su un progetto sostenibile e di prospettiva».
Immagino tu voglia rivolgere un ringraziamento speciale per il percorso vissuto in queste stagioni a Rimini, soprattutto l’ultima così particolare…
«Assolutamente sì, sento di dover ringraziare davvero tante persone e nominarle tutte sarebbe davvero lungo. Sicuramente in generale tutti gli staff tecnici con cui ho avuto modo di collaborare, i ragazzi che hanno lavorato ogni giorno con impegno e dedizione, e le loro famiglie, che ci hanno dato fiducia e sostegno emotivo costante soprattutto in questi ultimi mesi. Un grazie sincero va anche a tutte le figure dirigenziali e volontarie che ci hanno permesso di operare in un clima sereno e organizzato, ed al Comune, sempre disponibile e attento alle nostre necessità. Non posso dimenticare anche tutte quelle persone che, anche a titolo gratuito ed al di fuori del nostro contesto, hanno messo passione, competenza e grandissima disponibilità per il bene del Rimini. E infine, un pensiero particolare ai tifosi e alla città: un grande abbraccio e un ringraziamento profondo, perché Rimini non meritava un epilogo così amaro. Rimini è una città bella, fatta di gente fantastica».
Si sta già muovendo qualcosa per il tuo imminente futuro? Hai avuto contatti o proposte?
«In realtà non molte. Qualche chiamata c’è stata, principalmente da società di Serie D, ma al momento nulla che sia poi andato davvero avanti. Sto aspettando con serenità, ma anche determinazione, il progetto giusto, quello che possa dare continuità al lavoro fatto finora e offrire le condizioni per crescere ancora».